In Olanda e in Gran Bretagna è oramai una realtà da oltre venti anni, e adesso sta prendendo piede anche in Italia: è il social housing, termine con il quale stiamo prendendo confidenza anche noi, soprattutto a partire dal 2008 quando la domanda di alloggi sul libero mercato si è bruscamente arrestata. Ma cos’è il social housing? Tecnicamente si può definire come un insieme di alloggi e servizi, di azioni e strumenti per un utenza che non riesce a soddisfare il proprio bisogno abitativo sul mercato, per ragioni economiche o per assenza di un’offerta adeguata, un insieme che favorisca la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso, al fine di rafforzare la propria condizione abitativa e sociale. In effetti, in Italia ha sempre prevalso la tendenza all’acquisto della casa, tant’è che l’80% del patrimonio abitativo nazionale è abitato da famiglie in proprietà, mentre solo il 20% è in affitto. Il Governo italiano ha sviluppato il Piano Nazionale di Edilizia Abitativa che è rivolto proprio a quell’utenza che dispone di un reddito troppo elevato per accedere all’edilizia residenziale pubblica ma non adeguato per accede al libero mercato. Con il social housing nasce in Italia un nuovo segmento di mercato e con gli specifici fondi immobiliari si ridarà ossigeno al mercato delle costruzioni, ma conseguentemente, anche al mercato dell’arredo. Il fenomeno è destinato a creare un circuito virtuoso che nasce da una specifica esigenza sociale e ritorna all’utente attraverso una filiera di qualità che vedrà costruzioni realizzate con moderni parametri abitativi ed energetici e arredi concepiti all’uopo e quindi in grado di coniugare estetica, competitività, massima fruibilità e attenzione ecologica. Nel prossimo quinquennio i fondi immobiliari disporranno di una dotazione finanziaria di 10 miliardi di Euro che dovrebbero permettere la realizzazione di 50 mila alloggi destinati a locazione a canone agevolato, i primi dei quali dovrebbero essere già consegnati nel 2011. L’edizione MADE Export 2011 (la fiera promossa da FederlegnoArredo dedicata a edilizia e progetto) che si svolgerà a Fiera Milano-Rho tra il 5 e l’8 ottobre dedicherà un ampio spazio al social housing e verranno presentati ufficialmente i progetti del bando housing contest. Quest’ultimo è frutto di una collaborazione tra il Comune di Milano, Assimprendil ANCE, InARCH e Ordine degli architetti di Milano che per la prima volta, in Italia, ha creato un repertorio di progetti per edifici residenziali sociali, prevedendo un Catalogo comprendente 2500 prodotti inseriti da 190 aziende.

 Maria Gabriella Ferrazza

LA DIFFIDENZA DEGLI IMPRENDITORI LI PORTA AD ATTEGGIAMENTI AUTARCHICI E A RIFUGGIRE DALLE ESPERIENZE ESTERNE.

Siamo entrati nel periodo dei bilanci: sarà facile e doloroso per le aziende fare il bilancio consuntivo del 2010 ma sarà invece difficile fare il bilancio di previsione. Perché? I contabili, gli amministratori, i centri studi sono forse usciti di senno? No, più semplicemente non è prevedibile dimensionare il comportamento dei consumatori e conseguentemente fare delle stime delle entrate che abbiano coerenza contabile. Ma cosa succede al consumatore? Ha semplicemente modificato radicalmente la sua scala di valori riferita ai beni di consumo: si è liberato dal comportamento omologato della famiglia, del gruppo sociale, dei gruppi di appartenenza ed è andato per la sua strada. Ognuno con le proprie paure, ognuno con la voglia di farla pagare a qualcuno e con l’obiettivo di pagare di meno quello che aveva desiderato fino a ieri. I prodotti low cost sono una prima risposta per intercettare, questo tipo di atteggiamento dei consumatori, che di fatto si è rivelato individualista e solitario, e quindi inclassificabile nelle statistiche merceologiche e se gli statistici sono rimasti senza numeri e percentuali, molti imprenditori sono rimasti senza bussola. Soprattutto nel mondo delle imprese la reazione è stata quella di disperarsi dietro le quinte, di tener duro, ma di affrontare solitariamente le cose. E’ prevalsa l’idea di non dover dire “in giro” la propria realtà, perfettamente in linea con una stereotipata concezione di impresa padronale. Qualche carta è stata scoperta solo sulle scrivanie dei funzionari degli istituti di credito peraltro ingessati dalle regole di  Basilea, resi indifferenti dalla burocratizzazione e dal declino della responsabilità d’agenzia, impauriti da una debacle di solvibilità che riguarda imprese, famiglie e single.

Ne è uscita rafforzata la diffidenza, a 360 gradi: figurarsi verso gli esperti esterni, i cosiddetti consulenti. Quando era il momento per aprirsi, per confrontare la propria storia e la propria esperienza con qualcuno che avesse vissuto professionalmente più storie e più esperienze, questa apertura è venuta meno. Le imprese in questa situazione di incertezza avrebbero dovuto ricorrere massicciamente ai consulenti di direzione, cosa che forse è avvenuta nelle grandi aziende ma sicuramente molto limitatamente nelle piccole  e medie. Ciò non è avvenuto e sta incrementando le situazioni di difficoltà registrate dalle imprese.

Maria Gabriella Ferrazza

Aziende smarrite ma la bussola degli esperti indica ancora il marketing strategico come una delle possibili vie di uscita dalla crisi.

 Alcuni recenti meeting di aziende produttrici di arredamento hanno riproposto l’attuale evoluzione degli stili di consumi come uno degli effetti che influiscono sul ruolo e il rapporto del marketing e della comunicazione. Si tratta  di cambiamenti di origine esogena ed endogena. All’esterno assistiamo ad un radicale mutamento della società di fronte ai mezzi e ai sistemi di comunicazione; all’interno registriamo una certa confusione di ruoli, con archistar che non si limitano a svolgere il loro lavoro ma confondono la loro esperienza per una presupposta globalità di competenza, al punto di volersi appropriare anche degli aspetti comunicazionali (e andrebbe ancora bene) fino alle strategie di marketing. Dimenticando che il designer deve sfuggire dal puro soggettivismo, in quanto è l’artefice dell’opera e non ne è il protagonista, ne tanto meno è l’opera stessa. E i designer che vogliono fare della propria vita un opera d’arte semplicemente equivocano il fare con l’agire. Ma oggi, la comunicazione, soprattutto i nuovi mezzi concessi dal mondo web, rafforzano la possibilità e la capacità del marketing di continuare ad occuparsi di rilevare le esigenze “reali” dei consumatori, dare elementi in grado di consentirne la traduzione in soluzioni costruttive e progettuali, occuparsi della collocazione del prodotto e far si che venga visto e spiegato sia nei suoi elementi tecnici che immateriali. Soprattutto tenendo presente che il nuovo consumatore diviene (per certi versi paradossalmente) sempre meno seriale nei gusti e sempre più esigente di personalizzazioni a tutti i livelli. Il marketing oggi più di ieri può identificare con precisione il target a cui l’azienda si rivolge. In questo contesto la comunicazione deve essere equilibrata nel trasferire le informazioni sul prodotto e avere ben presente le esigenze del target a cui si rivolge, senza intromissioni estetico-autoreferenziali.

Maria Gabriella Ferrazza

Milano 1 marzo: la sede è quella disegnata da un’archistar per il più importante quotidiano economico del Paese. Il meeting è dedicato, come ogni anno, ad un focus sul settore dell’arredo cucina: la scusa di celebrare il numero 200 della rivista “bibbia” per chi produce, progetta e vende cucine in Italia, propone una riflessione sul “come progettare il futuro della cucina”. Ma economisti, sociologi, web strategy, produttori e commercianti di arredo cucina, spostano in avanti la linea dell’orizzonte rappresentato dal “compito” per permettere una autoriflessione sul come reagire in questo contesto di crisi di mercato. Le recenti, allarmanti, notizie che provengono dal nord Africa non risultano fuori tema per una riflessione che ripropone lo strabismo come metodo abituale di operatività politica ed economica: da un lato, guardare con un occhio ad una propria finalità ed interesse di Stato e spostare l’altro occhio per non soffermarsi su quello che sta avvenendo;  dall’altro, guardare al mercato, a quello che avviene, a quello che vuole la gente, ma spostare l’altro occhio per limitarsi a congetturare soluzioni che prima di tutto soddisfano i nostri convincimenti, estetici o di abitudine. In pratica, cosa è avvenuto e cosa potrà avvenire? In passato, molte strategie di marketing aziendale sono state adottate trascurando le indicazioni che venivano dal mercato e le previsioni che potevano essere fatte sulla base degli scenari futuribili, per limitarsi e autocelebrarsi nel fare strategie che rispondevano a logiche autoreferenziali e comunque basate sul semplice e autarchico convincimento che ciò che piaceva era anche la cosa giusta da fare. Il futuro ci da indicazioni totalmente diverse e anticipa giudizi taglienti su queste ultime strategie. Il vento che proviene dal Nord Africa ci parla il linguaggio di una popolazione giovanile ma non giovanilistica: che sa affrontare, a rischio della propria pelle, una sfida vitale per ridisegnare il proprio futuro. Reclamerà anche prodotti in grado di soddisfare sul piano della fruibilità e dei costi questa voglia di libertà, ma soprattutto di autodeterminazione della propria esistenza. E’ un vento destinato a spazzare via vecchi rituali e convinzioni che sembravano immodificabili: ma questo vento è soltanto una metafora per evidenziare come “il progettare il futuro della cucina” apparterrà sul piano dei risultati di vendita a coloro che sapranno cogliere ed interpretare le esigenze dei consumatori di oggi e di domani e non autoconvincersi che la valenza estetica da sola si sostituisca ad una reputazione di marchio che invece si basa su un reale lavoro di ricerca, di personalità, di saper fare, saper comunicare e motivare.

L’importanza di investire nella creatività per raggiungere i risultati aziendali.

 Nella complessità del terzo millennio, c’è un fattore che caratterizza le nuove generazioni (attuali e futuri consumatori) e ripropone l’utilità strategica della creatività.

Oggi i giovani più che essere sollecitati alla conoscenza, sono piuttosto vittime dell’informazione, che è ovviamente importante ma non è certamente sufficiente, perché attraverso l’informazione (soprattutto informatica) non si costruisce la capacità critica ne si alimenta la creatività. C’è un collegamento, anzi un possibile trasferimento tra le competenze o le inclinazioni artistiche e la possibilità e la capacità di fare business. Sbagliando, era stato preso ad esempio Leonardo da Vinci, ritenendo che essendo stato un grande disegnatore e pittore, da li fosse nata la sua vocazione di inventore meccanico. Dopo Leonardo è stato scomodato anche Mozart per inventare un test dell’intelligenza che dimostrasse come l’arte musicale influisse positivamente sull’intelligenza o perlomeno sulla capacità di problem solving. Il test è semplice: si piega un foglio di carta più volte e poi si tagliano alcuni angoli e alla fine bisogna suggerire quale sarà l’aspetto del foglio una volta riaperto. Il test ha dimostrato che se mentre si esegue questo esercizio si ascolta della musica, il risultato migliora. Ma è stato anche dimostrato che questo effetto positivo dura al massimo 15 minuti. Su queste tipologie di “scoperte” si è creata tutta una casistica per dimostrare come esiste un rapporto tra arte, intelligenza e creatività. Di sicuro emerge che esiste certamente un trasferimento positivo tra l’esercizio e la cultura artistica e la capacità di affrontare con creatività problematiche di ogni genere, soprattutto quelle legate al business e ai prodotti. Per spiegarlo basta riflettere sulle molteplici competenze che un insegnante di arti visive trasferisce nelle sue lezioni. Possiamo elencarle: insistendo esecutivamente su una attività si ampliano le competenze (come Degas che ha disegnato centinaia di ballerine prima di esprimersi nei suoi capolavori o come i Beatles  che agli esordi suonarono per tre anni consecutivi, per 1095 giorni, in una piccola balera, prima di affermarsi come un band di successo planetario); l’arte è prima di tutto espressione, uso di colori, di linee o di parole, che permette di realizzare qualcosa di significativo (un esercizio straordinario per il concepimento dei prodotti); il fatto che mentre si fa arte si fa critica, si realizza la cosiddetta metacognizione e cioè l’esercizio del ragionamento sul proprio lavoro prima e dopo averlo fatto; dipingendo, disegnando, creando si impara a “fare attenzione” ci si esercita cioè ad osservare e a sentire le cose; esercitando la creatività artistica ci si allena a pensare al futuro, si impara ad adottare un modello per poi modificarlo attraverso l’esercizio dell’immaginazione.

Ecco che queste competenze permettono di allenare il cervello contribuendo ad acquisire una maggiore stima di se stessi e a rendere la vita più significativa, scegliendo anche nei momenti di interazione quotidiana di viverli in modo attento e non in modo superficiale. Ed è questo il primo passo per approcciare le strategie di gestione aziendale con una visione creativa e quindi sicuramente più ampia e più strategica. Ecco perché anche la formazione manageriale (che è palestra di esercitazione) diventa un elemento strategico per l’allenamento di ogni risorsa umana finalizzato al raggiungimento di obiettivi prefissati.

Testi di Maria Gabriella Ferrazza e Franco Rosso